lunedì 28 settembre 2009

Michel Foucault e il nostro Presidente del Consiglio...

... sicuramente non si sono mai incontrati, anzi dubito che Burlesqoni sappia chi sia Michel Foucault, al massimo potrà azzardare che è il centravanti del Paris St. Germain. Ma il loro punto di congiunzione mi è balenato leggendo un famoso e ancora oggi interessante libro del filosofo francese: Sorvegliare e punire - Nascita della prigione, che si può agevolmente trovare in edizione tascabile di Einaudi.

In questo libro, Foucault ripercorre e interpreta la storia dei criteri punitivi utilizzati verso i criminali, a partire dalle esecuzioni e punizioni inflitte sulla pubblica piazza che caratterizzavano l'ancien régime per passare, a seguito delle sollecitazioni provenienti dal celebre Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria e dalle spinte illuministiche originanti e seguenti la Rivoluzione del 1789, verso il regime carcerario. Modalità di punizione diametralmente opposte che dipendono essenzialmente, secondo Foucault, da un diverso modo di esercitare il potere, diventato non meno severo ma semplicemente più razionale.

A pag.143 del mio libro, Foucault sintetizza molto chiaramente i tre stadi di questa evoluzione. E leggendo come descrive il primo di questi stadi, quello relativo al monarca assoluto, non ho potuto evitare di fare un'associazione con le strategie che il nostro Presidente del Consiglio sta mettendo in atto in questi giorni per far tacere la stampa a lui contraria.

Con una larga schematizzazione, possiamo dire che, nel diritto monarchico, la punizione è un cerimoniale di sovranità; utilizza i marchi rituali della vendetta che applica sul corpo del condannato e ostenta agli occhi degli spettatori un effetto di terrore tanto più intenso quanto più discontinuo, irregolare e sempre al di sopra delle sue proprie leggi, è la presenza fisica del sovrano e del suo potere.

Ci sono almeno tre termini che consentono una perfetta identificazione tra quanto scritto da Foucault e la nostra disperata situazione attuale: vendetta, spettatori e al di sopra delle sue proprie leggi. Anche se non esiste un condannato (almeno per adesso, ma ciò sotto un certo aspetto è anche peggio), il resto coincide con grande precisione: Burlesqoni vuole chiaramente mettere in atto una vendetta, vuole consumarla in pubblico davanti a spettatori che non sono più quelli delle piazze cittadine bensì quelli delle ben più ampie piazze telegiornalistiche e per ottenere questo suo scopo se ne frega altamente delle leggi, quando va bene se le fa abrogare. Ne consegue, per un evidente sillogismo, che il nostro non è un Presidente del Consiglio ma è un sovrano.

Proseguiamo leggendo come Foucault descrive gli altri due stadi del sistema punitivo:

Nel progetto dei giuristi riformatori, la punizione è una procedura per riqualificare gli individui come soggetti di diritto; essa utilizza non dei marchi, ma dei segni, degli insiemi codificati di rappresentazioni, e di questi, la scena del castigo deve assicurare la circolazione più rapida e l'accettazione più universale possibile. Infine, nel progetto di istituzione carceraria che viene elaborato, la punizione è una tecnica di coercizione degli individui; essa pone in opera dei processi di addestramento del corpo - non dei segni - con le tracce che questo lascia, sotto forma di abitudini, nel comportamento; essa suppone la messa in opera di un potere specifico di gestione della pena.

Qui siamo già piuttosto lontani dai comportamenti e dalle intenzioni del nostro Presidente: la scelta della reclusione comprende infatti assieme al carattere punitivo anche un fine educativo, rivolto sia al condannato (che ha la possibilità di riflettere sulle proprie azioni e di valutarne il minore vantaggio rispetto alla pena subita) che alla comunità, che vede nella pena inflitta un deterrente verso i propri istinti criminali e un esercizio del potere che dovrebbe essere non solo inesorabile ma anche umano, che lascia ai colpevoli la possibilità di redimersi. Ne risulta che nel testo sopra citato ci sono almeno tre parole che nel loro significato più profondo sono molto distanti dal pensiero e dalle azioni di Burlesqoni: diritto, universale, gestione.

Per finire, Foucault mette in parallelo i tratti caratteristici di queste tre modalità di esercizio del potere punitivo (tre tecnologie di potere, come le definirà più avanti), così rafforzando la chiarezza della sua esposizione (gli a capo sono miei):

Il sovrano e la sua forza, il corpo sociale, l'apparato amministrativo.
Il marchio, il segno, la traccia.
La cerimonia, la rappresentazione, l'esercizio.
Il nemico vinto, il soggetto di diritto in via di riqualificazione, l'individuo assoggettato ad una coercizione immediata.
Il corpo suppliziato, l'anima di cui si manipolano le rappresentazioni, il corpo che viene addestrato.


Duecentoventi anni fa, il passaggio dall'esecuzione in piazza all'esecuzione nascosta al pubblico e poi alla reclusione era stato l'evidenza di un progresso umanistico e filosofico che aveva condizionato l'esercizio del potere, che da allora in poi gradualmente passerà da potere assoluto a potere democratico. Oggi mi sembra che stiamo tornando un po' indietro... cosa ci vuole ancora per svegliarsi?

domenica 6 settembre 2009

VIDEOCRACY - Erik Gandini (2009)

Per una volta contravvengo alla mia regola di parlare in questo blog solo di film, libri, cose del passato che bisogna secondo me ricordare e parlo invece di un film appena uscito e molto discusso già prima dell'uscita in sala.

Il motivo per cui ne parlo è che penso, dopo avere visto il film, che si tratta di uno di quei film che serviranno a tenere salda nel tempo la memoria di questi tempi bui che stiamo vivendo qui in Italia. Nella speranza che tra pochi anni si possa ripensare al 2009 con il sospiro di sollievo di chi si è lasciato alle spalle il peggio, e magari da quel peggio ha imparato a stare meglio. Ma dato che quello che una volta era inimmaginabile oggi ci è sempre più indifferente, meglio non farsi troppe illusioni.

Venendo a Videocracy: Gandini (presente in sala ma purtroppo solo prima dell'inizio della proiezione) ha ricordato giustamente che ha realizzato il film pensando al pubblico svedese, o comunque a un pubblico non italiano. Questo è importante da sapere, perché il pubblico italiano un po' più avveduto (che dovrebbe essere quello che va a vedere Videocracy) non si stupisce più di tanto a quello che vede nel film, sono cose purtroppo già note e risapute, anche se la loro accumulazione provoca indubbiamente un senso di orrore.

Guardando con un po' di distacco, si capisce come secondo me Gandini abbia centrato in pieno il nocciolo della situazione italiana e il modo con cui raccontarla: la sinergia tra potere politico e potere mediatico che si rafforzano l'un l'altro mediante la progressiva ebetizzazione degli italiani e la scelta di soli tre testimonial che però dicono tutto e rappresentano le tre figure, i tre ruoli di questo "gioco": il burattinaio, il frontman e la vittima consenziente. Dietro di loro, sopra di loro, ovunque, colui che più di tutti da 15 anni sta raccogliendo i frutti di questo gioco, ovvero l'attuale presidente del consiglio (il cui nome è bandito in questo blog).

I tre personaggi sono rispettivamente il manager Lele Mora, il bad boy Fabrizio Corona e l'aspirante personaggio televisivo Ricky. Non mi va di parlare dei primi due perché rappresentano quella tipologia di persone che vorrei scomparissero immediatamente dalla faccia della terra, che tutti a parole disprezzano ma in realtà invidiano. Mi interessa di più Ricky, che rappresenta in maniera perfetta il tipo di italiano che è sempre più maggioranza: buon ragazzo, ignorante al punto giusto da dedicare alla televisione tutte le sue aspirazioni, rovinato da una madre castratrice così terribilmente tipica della nostra 'sana' Italia e così deleteria per la crescita umana e morale delle nuove generazioni. Questa è l'Italia che il potere mediatico e politico ha sfruttato e ha allargato, garantendosi così una rendita di posizione politica ed economica per chissà quanti anni ancora. La storia è sempre la solita da secoli: alcune sopraffine intelligenze criminali che prosperano alla faccia del popolo cretino, però mai così contento e partecipe di essere cretino.

Certo, quello che manca nel film è l'altra parte d'Italia, quella che anch'essa negli ultimi anni ha governato il paese e nulla ha fatto per modificare la videocracy, né una seria legge sul conflitto d'interessi né una raddrizzata alla inguardabile televisione pubblica. Ma questo non mi sembra un difetto: trovo giusto concentrare il fuoco su pochi elementi (che sono comunque i più importanti) e comunque, come ci insegnano Mora e Corona, nella società dell'apparire il silenzio assoluto è di per sé una bella condanna. Mi sembra infatti di ricordare che mai una volta nel film la sinistra venga citata e che non ci siano dichiarazioni di suoi esponenti. Sulla sinistra degli ultimi 15 anni ben più di un documentario ci vorrebbe...

Per concludere, ho letto nelle cronache dal Festival di Venezia che, vedendosi nel film, Ricky si sarebbe reso conto di quanto era ridicolo. Beh, se l'ha scoperto lui allora forse anche tanti altri possono capire cosa sta realmente succedendo. Basta, ogni tanto, fargli vedere anche dei film, non solo tette e culi.