lunedì 12 gennaio 2009

GREAT WORLD OF SOUND - Craig Zobel (2007)

La Great World of Sound è una piccola casa discografica che cerca in giro per gli States nuovi talenti da lanciare sul mercato. Il suo boss, Shank, può vantare alcune grandi scoperte fatte nel recente passato, testimoniate da una bella collezione di dischi d'oro. Tutto questo, assieme a poche ma chiare strategie di vendita, viene insegnato agli aspiranti talent-scout che faranno capo alla nuova sede distaccata di Charlotte, North Carolina. Tra gli aspiranti talent-scout ci sono Martin, bianco magro biondo calmo e garbato, e Clarence, nero robusto irruento incontenibilmente simpatico, che faranno coppia fissa per valutare le audizioni delle aspiranti star che risponderanno agli annunci della Great World of Sound. Ben presto però Martin e Clarence scoprono che la GWS non è altro che una meschina truffa, sia nei confronti degli aspiranti cantanti a cui viene richiesto di sborsare 3.000 dollari per la promessa di incidere un disco, sia per loro due, che vedranno ben pochi soldi rispetto a quelli favoleggiati da Shank.
Raccontato così, Great World of Sound sembra essere un film deprimente o di quelli che fanno indignare per una delle solite truffe ai danni dei più ingenui e ottimisti. Invece, pur non mancando questi due aspetti, io l'ho trovato soprattutto delicato e (uso un'allocuzione religiosa e questo un po' mi preoccupa), pieno di grazia. Perché i nostri due eroi non sono completamente ingenui, hanno capito subito il lato truffaldino della loro attività, ma ciò nonostante sono dotati (soprattutto Martin) di un ottimismo e di una convinzione di fondo con i quali cercano onestamente di fare qualcosa di buono per le aspiranti stars, salvo poi mandare tutto a monte quando la situazione diventa insostenibile.
La storia deriva da un'esperienza vera del regista, il cui padre negli anni '70 faceva esattamente il mestiere di Martin e Clarence. Ci dice Zobel di essere ancora stupito che suo padre, che era una brava persona, potesse per professione truffare gli altri sulla loro speranza.
Ma la tenerezza del film deriva soprattutto da una grande trovata di messa in scena: le audizioni che vediamo nel film non sono fatte da attori scelti dal casting, bensì da veri aspiranti cantanti che hanno risposto a finti annunci pubblicati sui giornali. Le scene sono state riprese da video camere nascoste, per cui l'atteggiamento di queste persone è quanto mai naturale, le loro doti artistiche vere o presunte sono quelle loro reali, e le reazioni dei due attori sono spontanee - così come le reazioni di fronte alla richiesta dei 3.000 dollari!
Alla fine di ogni ripresa, la troupe ha raccontato la verità a questi cantanti, che hanno quasi tutti firmato la liberatoria per l'utilizzo nel film delle immagini in cui essi compaiono.
Abbiamo così un film che è sia fiction che documentario e che è soprattutto la dimostrazione di come le buone idee di sceneggiatura e di regia non siano ancora esaurite. Il più è scoprirle: ci sono quelli che dovrebbero fare gli scout di mestiere ma non le vedono mai...

domenica 4 gennaio 2009

LADRÓN QUE ROBA A LADRÓN (Joe Menendez, 2005)

Come spesso succede, è quando ti avvicini a un film senza avere grandi aspettative che scopri delle piacevoli sorprese. Questo è stato per me il caso di Ladrón que roba a ladrón, che sospettavo veramente potesse essere una gran boiata. In verità i primi minuti di film mi stavano confermando questo sospetto: attori bellocci e palestrati, messa in scena senza pretese e fotografia molto piatta stavano facendomi pensare a un sotto-sottoprodotto hollywoodiano. Però poi strada facendo il film migliora molto, e alla fine mi ha lasciato piacevolmente spensierato, con un lieve retrogusto di satira sociale.
Si tratta infatti di un tipico heist-movie (alla Colpo grosso oppure Ocean's 11-12-13, per intenderci), costellato di tutti gli inconvenienti e le sorprese che devono spuntare in un film di questo genere, con la differenza sostanziale che il colpo è architettato e realizzato da un gruppo di latinos residenti in California ai danni di un altro latino ex-collega di furti che si sta facendo montagne di soldi truffando i poveracci, ancora soprattutto latinos, con la pubblicità e la vendita televisiva di presunti farmaci e prodotti curativi. Una specie di Robin Hood latini quindi, con un fondo di semplice moralismo ma anche con una buona e giusta dose di presa in giro della stupidità yankee e del sistema di marketing basato sui media.
Al di là di analisi socio-politiche che in questo caso sono forse eccessive, visto la caratteristica di puro entertainment del film, è comunque interessante osservare che inizia a esistere una produzione statunitense di film prodotti e realizzati da cast e attori di provenienza latina, e destinati in prima battuta al pubblico di lingua ispanica. Non a caso infatti il simpatico gruppo di ladroni è composto d un mélange di nazionalità (argentini, cubani, colombiani, messicani), che ci dà l'immagine di quanto sia variegato il fenomeno dell'immigrazione latina negli USA e come, furbescamente, il film strizzi l'occhio proprio a loro. Ma dopo tante ditate negli occhi da parte delle potenti major di Hollywood, questa è una trovata che si può perdonare volentieri.