lunedì 4 giugno 2007

Albert Camus - La peste

(idem), 1947
Bompiani, 1948/2001


pag.61
Naturalmente i cinematografi approfittavano della vacanza generale e facevano grossi affari; ma i giri che i film compivano nel distretto erano interrotti. Dopo due settimane, le sale furono costrette a cambiar programma, e in poco tempo i cinematografi finirono col proiettare sempre lo stesso film. Ma gli incassi non diminuivano.

pag.213
Tarrou giudicava la cosa possibile, ma pensava che fosse meglio, intanto, prospettarsi la prossima apertura delle porte e il ritorno a una vita normale.
"Ammettiamolo" disse Cottard, "ammettiamolo; ma cosa intende lei per ritorno a una vita normale?"
"Dei nuovi film al cinematografo", disse Tarrou sorridendo.

Edward Bunker - Little Boy Blue


(idem), 1981
Einaudi, 2003

pagg.38-39
Non avevano soldi per offrirsi un giro in giostra, né per tutte quelle cose buone i cui profumi aleggiavano nell'aria, ma si mescolarono alla folla e ficcarono il naso ovunque poterono, dimentichi, almeno temporaneamente, della fame che li attanagliava. Cinema a poco prezzo ce n'erano in quantità. Uno aveva in cartellone due grandi films con Boris Karloff, La mummia e Frankenstein, e i due ragazzi non seppero resistere al richiamo del brivido. Alex comprò un biglietto per venti cent - il che ne lasciò loro in tasca ancora venticinque - entrò e poi andò ad aprire la porta di sicurezza per permettere a Sammy di entrare. Restarono lì il tempo di due spettacoli, finché si spensero le luci e il cinema chiuse i battenti.

pag.339
Era quasi mezzanotte quando Wedo e Alex lasciarono la sede dell'«Examiner».
- E adesso? - disse Wedo. - Sono stanco.
- Anch'io. E non so dove andare.
- Potrei… andare a casa, - disse Wedo, prima di dare ad Alex una pacca sulla schiena in segno di amicizia. - Se si può chiamare casa quel buco schifoso. - Soffocò le parole con falsa disinvoltura. - Ma non mi va. Spesso è così.
- Allora dov'è che dormi?
Wedo rispose con un'alzata di spalle. - Qua e là. Qualche volta da Hank. Sua madre mi vuol bene. Qualche volta da Teresa… entro di nascosto per evitare suo padre e salgo al primo piano… altre volte in un cinema aperto di notte su Main Street. Lo vuoi provare?
- Certo, amico.
Così decisero, e nelle settimane successive trascorsero parecchie notti in alcuni cinema che davano tre film di seguito, sedendosi sempre nei pressi dell'uscita, nel caso in cui gli sbirri che perlustravano la sala dalla porta decidessero di muoversi lungo le file dei sedili. I cinema notturni chiudevano verso le sei e mezza del mattino; le loro creature erano scaraventate all'aperto, alla luce del giorno, e poi si perdevano tra lo sciame della città al risveglio.

Chico Buarque - Budapest

(Budapeste), 2003
Feltrinelli, 2005, pag.126

Strinse il pugno, preparò il colpo, penso che m'avrebbe colpito al fegato, quando si sentirono delle voci accanto a me. Alcune persone presero a uscire dal muro, persone e ancora persone uscirono da quel buco scuro che era la porta del retro di un cinema. Allora mi mescolai al pubblico, avanzai con il gruppo verso il viale, passai davanti all'entrata del cinema, bar, farmacia, chiosco dei giornali, mi precipitai in mezzo alle macchine ed entrai nell'hotel.

James Agee - Una morte in famiglia


(A death in the family), 1958
Edizioni e/o, 2003, pagg.13-16

A cena quella sera, come già tante altre volte, suo padre disse: «E che diresti, se si andasse al cinematografo?».
«Oh, Jay!» disse sua madre. «Quell'odioso ometto!».
«Che male ti ha fatto?» domandò suo padre, non perché non sapesse già quel che avrebbe detto lei, ma per costringerla a dirlo.
«È così disgustoso!» disse lei come sempre. «Così volgare! Con quel disgustoso bastoncino che tira su le gonne, e quel disgustoso modo di camminare a passettini!».
Suo padre rise come sempre, e Rufus sentì che lo scherzo era diventato piuttosto stupido; ma come sempre riderne gli metteva allegria: sentiva che riderne lo univa a suo padre.
Si avviarono verso la città nella luce di madreperla, al Majestic, e trovarono posto alla luce dello schermo nell'odore eccitante di tabacco vecchio, di sudore rancido, di profumo e di mutande sporche, mentre il pianoforte suonava una musica vivace e cavalli al galoppo sollevavano grandi velari di polvere. E c'era William Hart con le due pistole che vomitavano fuoco e la lunga faccia equina e la bocca grande e risoluta, e il vasto paesaggio si svolgeva dietro a lui, ampio come il mondo. Poi fece una faccia timida a una fanciulla e il cavallo arricciò il labbro superiore e tutti quanti risero, e poi lo schermo fu occupato da una città e dal marciapiede di una strada di città con un lungo filare di palme ed ecco Charlot: tutti risero appena lo videro camminare a gambe arcuate, piedi in fuori e ginocchia scostate come se avesse un'irritazione; il padre di Rufus rise e rise anche Rufus. (…) allora il suonatore di pianoforte cambiò musica e venne la pubblicità a colori e senza movimento. Rimasero ancora per vedere l'inizio del film di William Hart e sapere perché aveva ucciso l'uomo dal panciotto fantasia, ed era come l'avevano immaginato vedendo il volto atterrito e soddisfatto di lei dopo il delitto; lui aveva insultato una fanciulla e per di più ne aveva ingannato il padre, e il padre di Rufus disse: « Be', mi pare che siamo arrivati a questo punto», ma stettero a guardare ancora una volta come uccideva l'uomo; poi uscirono.

Joe Sentieri

Di Joe Sentieri conservo un ricordo personale. Avevo sedici o diciassette anni, all'inizio degli anni '80, e trascorrevo le vacanze in un paesino dell'alto Appennino reggiano, dove i miei genitori avevano da poco comprato una casa. Joe Sentieri era nato a Genova, ma le sue origini erano a Cerreto Alpi, il primo borgo che si incontra scendendo in Emilia sulla strada che unisce La Spezia a Reggio, un paesino minuscolo ma che ha il suo posto d'onore nella musica e nella cultura italiana, avendo dato i natali anche a Giovanni Lindo Ferretti e a Ezio Comparoni, meglio noto come Silvio D'Arzo. Come la gran parte dei montanari, allora come oggi, la famiglia di Sentieri era emigrata a Genova alla ricerca di un lavoro, ma aveva mantenuto saldissime radici con la sua terra d'origine.

All'inizio degli anni '80, dicevo, con i miei genitori e con i nostri amici di Collagna passavamo in macchina da Cerreto Alpi, arrivando a un certo punto davanti a una casetta, di fronte alla quale sedeva un omino dall'aspetto modesto. "Quello è Joe Sentieri" ci dissero i nostri amici, spiegandoci che da un po' di tempo era tornato a vivere lì, perchè era praticamente rimasto senza soldi e nessuno lo faceva più cantare, essendo irrimediabilmente passato di moda. Naturalmente lassù tutti lo conoscevano, e i nostri amici ne parlavano con quella compassione un po' fredda che si riserva a chi non ha saputo conservare le fortune che la vita gli aveva offerto. Joe Sentieri era a quel tempo un eccentrico che si guadagnava qualche soldino vendendo i quadri che aveva iniziato a dipingere dopo aver smesso di cantare. Negli anni successivi, ogni volta che tornavo su in montagna la curiosità mi spingeva a ripassare davanti alla casetta di Joe Sentieri, che da allora ho visto sempre chiusa e sempre più fatiscente, come tante case abbandonate dell'Appennino.

Oggi, leggendo gli articoli che ricordano Joe Sentieri nel giorno della sua morte, ho avuto le risposte alle due domande che mi venivano naturali quando vedevo quella piccola dimora. La Stampa riferisce infatti che "Per spiegare le ragioni delle sue difficolta economiche Sentieri raccontava: «Ho sprecato il mio patrimonio: spesi 40 milioni per un terreno a Rapallo così da costruirci palazzine ma proprio lì decisero di far passare l’autostrada. Fu un buco enorme. Poi provai con un negozio di dischi andato malissimo»", e che "Il cantante viveva da tempo a Pescara dove risiede la sua compagna Dora, che gli è stata a fianco negli ultimi 25 anni." Una sorte purtroppo simile a quella di Dino Sarti, a lungo dimenticato nella sua stessa città e che ha passato nell'oblio gli ultimi anni della sua vita.

E allora voglio che qualcuno almeno sappia e si ricordi che Joe Sentieri non è stato solo quello del "saltino" o il precursore degli "urlatori", ma anche un buon interprete di Jacques Brel (e di Frank Sinatra). Il mondo della canzonetta gli stava stretto, tanto che raccontava che il famoso saltino alla fine della canzone era per lui un modo per festeggiare la fine di una piccola pena, quella di cantare brani molto, troppo, facili e commerciali. Come Dino Sarti, nelle sei canzoni che ha interpretato in dialetto genovese Joe Sentieri ha saputo cogliere l'anima popolare delle canzoni di Brel ("É bigotte" e la a suo modo straordinaria Vesoul che diventa Rapallo in "Ti voevi anda’ a Rapallo") ma in più rispetto al bolognese ne ha praticato anche il versante romantico, con le traduzioni di "Ne me quitte pas" ("No, no te n’anâ") e di "La chanson des vieux amants" ("Maria").

Non posso negare di essere rimasto molto sorpreso il momento in cui ho scoperto le traduzioni di Brel fatte da Joe Sentieri: il tempo che passa, le registrazioni ora pressochè introvabili, le semplificazioni dei mass-media mantengono vive immagini monodimensionali degli artisti meno conosciuti. Ma è importante sapere che in Italia c'è stata una generazione di cantanti che valeva molto di più di quello che si tende a credere e a far credere; questa generazione purtroppo ci sta poco alla volta abbandonando, probabilmente non è sostituita da elementi di uguale spessore e allora una volta di più è necessario tenerne vivo il ricordo.

Martedì 27 marzo 2007

Articoli di quotidiani:
la Repubblica
La Stampa

Dino Sarti


Il cantante e showman bolognese Dino Sarti è morto all'ospedale di Bentivoglio, in provincia di Bologna, dove era ricoverato per una grave malattia. Lo ha reso noto Corrado Castellari, autore delle musiche di tutti i successi dell'artista. Nato il 20 novembre del 1936, Sarti aveva legato la propria fama soprattutto a brani come Piazza Maggiore 14 agosto, Viale Ceccarini Riccione, Spometi, Tango imbezell e all'inno rossoblu Bologna campione. "Le canzoni di Dino Sarti - aveva detto di lui Enzo Biagi - hanno il sapore del pane all'olio e rispecchiano il carattere della mia gente". Nella sua carriera, anche qualche esperienza cinematografica, come Fontamara, Vai alla grande di Salvatore Samperi nel 1983 e Dichiarazioni d'amore di Pupi Avati nel 1994. Sarti aveva lasciato il capoluogo emiliano parecchi anni fa per trasferirsi a Carimate, in Lombardia, ma di recente era tornato a vivere nel bolognese.

Sarti inizia a esibirsi nelle balere della sua città, nella metà degli anni Cinquanta, mentre lavora come tornitore meccanico in una fabbrica. Il debutto ufficiale è nel 1956, alla Festa dell'Unità di Bologna, con un classico della canzone francese, Donna. Scritturato da un locale di San Lazzaro di Savena, mette insieme un repertorio composto da canzoni americane e francesi. Poi, partecipa a un concorso radiofonico per voci nuove, lascia la fabbrica e si unisce al gruppo dei Casamatta, e debutta al Palace Hotel di St.Moritz.

Risale al 1957 l'incontro con Pino Calvi, che l'anno dopo gli fa incidere un 45 giri: Bernardine/Giorgio del Lago Maggiore. Sono i tempi in cui viene bocciato ad un provino per la Rai, perché il suo stile da cantante di night club non viene apprezzato. Debutta, invece, in tv a Radio Monte Ceneri, sempre in Svizzera. Poi lo scopre la televisione italiana, e si esibisce in un programma condotto da Mike Bongiorno. Intanto, continua con le sue serate nei night e nei locali da ballo, e comincia a frequentare anche un gruppo di jazzisti. Per piasair lasa ster la mi dona (Per piacere lascia stare la mia donna) è la sua prima canzone in bolognese.

È la scoperta dei dischi di Jacques Brel a dare un'impronta particolare alla sua produzione. Sarti incide in bolognese canzoni dello stesso Brel, ma anche di Bécaud e Aznavour. È del 1970 il suo primo album, Bologna invece!, una decina di brani suoi (Tango imbezel, cioè Tango imbecille), traduzioni dal francese in bolognese (Jef di Brel, che diventa Vèin amigh, e Natalie di Becaud) e vecchie canzoni popolari bolognesi. Il disco vende 100 mila copie: un evento, per un album di canzoni in dialetto.

Nel 1971 esce Bologna tra un treno e ql'elter, nel 1973 debutta in cabaret esibendosi per tre mesi al Derby di Milano e nello stesso anno pubblica il secondo album, che contiene Spomèti, una delle sue canzoni più famose. Nel 1974 escono l'album Piazza Maggiore 14 agosto e il singolo Viale Ceccarini Riccione, nel 1975 è nei negozi Bologna e invece tre, che ottiene il premio della critica.

Chiamato dall'allora sindaco di Bologna Renato Zangheri per cantare, nel giorno di Ferragosto, per i bolognesi rimasti in città, Sarti si esibisce davanti a 40 mila persone, e per qualche anno l'appuntamento in piazza Maggiore diventa una tradizione. Nel 1976 esce Dino Sarti, con alcune poesie di Tonino Guerra musicate e tradotte in bolognese, oltre a I vic (versione bolognese di Les vieux di Brel). L'anno successivo incide Bologna campione, inno della squadra di calcio rossoblu, nel 1979 I love you cucombra (Ti amo cocomero).

Apprezzato anche come scrittore, Sarti dà alle stampe libri come 'Vengo dal night', 'Night and day', 'O si è bolognesi o si sa l'inglese', 'Quanto zucchero?'. Partecipa anche al film-tv di Carlo Lizzani 'Fontamara' (1980) e ai film 'Vai alla grande' di Samperi (1983) e 'Dichiarazioni d'amore' di Pupi Avati ('94).

Negli anni Ottanta e Novanta la sua attività discografica rallenta: escono solo l'album 'Spometi' (1982), la raccolta 'Sentimental Bertoldo' (1994) e un recente 'Disco platinum' con i successi di sempre e alcuni inediti. Con lui scompare uno dei più popolari cantanti in dialetto bolognese, assieme ad Andrea Mingardi.

(da www.laRepubblica.it, 11 febbraio 2007)

Il mio nome è Rosso - di Ohran Pamuk

Che romanzo ricco! Che lettura intensa, profonda e appassionante! Sono tante le cose da dire su questo romanzo che sicuramente non riuscirò a scriverle in questo piccolo spazio, ci vorrebbe l'abilità dei suoi protagonisti, i miniaturisti del Sultano di Istanbul.

Allora, ci provo: intanto la suddivisione in capitoli corrisponde a tante diverse voci che danno vita alla narrazione: sono i vari protagonisti che portano avanti la storia secondo il loro punto di vista, creando un effetto al tempo stesso moderno, in stile cinematografico, e antico, riecheggiante il racconto orale, con tutte le sue necessarie spiegazioni e ripetizioni e con le sue confidenze.

Poi, i testi e i significati sono veramente innumerevoli. La trama contiene: una storia d'amore e di erotismo; un giallo che porta alla risoluzione di due delitti; una minuziosa ricostruzione storica e sociale dell'ambiente dei miniaturisti (che in modo naturale testimonia la storia dell'impero ottomano); il contrasto tra la modernità nascente (siamo nel 1591), rappresentata dal culto dell'immagine proveniente dagli infedeli europei e la tradizione del disegno secondo gli insegnamenti della legge coranica; l'insorgere di movimenti fondamentalisti che minano la stabilità religiosa e sociale; digressioni filosofiche di notevole profondità sulla visione e sulla cecità; folgoranti invenzioni descrittive e narrative...

Un romanzo assolutamente da leggere (anche se nelle ultime pagine vi faranno male gli occhi...), per tutti e ancor più per chi come me in questi tempi nutre una grande curiosità verso quel nostro vicino scomodo che è la Turchia. Da parte mia va un sentito ringraziamento all'Accademia del Premio Nobel che con il suo azzeccatissimo giudizio mi ha fatto scoprire questo grande scrittore.

domenica 3 giugno 2007

Il vento fa il suo giro


di Giorgio Diritti

Italia, 2006

Rating: 864/1000


Questo film di Giorgio Diritti è una vera perla nascosta nel cinema italiano di quest'anno. Si tratta di un film sincero, appassionato, realizzato con un'idea di regia ben chiara e con una commistione tra fiction e documentarismo ben equilibrata; tutte doti molto difficili da trovare in un film, non solo italiano.

La storia è ambientata a Chersogno, un borgo dell'alta Val Maira, nel cuneese, in una di quelle comunità montane ormai spopolate in cui si parla ancora la lingua occitana, antico trait-d'union tra l'italiano e il francese. In questa piccola comunità si stabilisce con la sua famiglia un pastore francese, e questo evento determinerà un forte e imprevedibile impatto sulla vita tranquilla e monotona del borgo. Non è quindi niente di più che uno degli archetipi della narrazione (l'ingresso di un estraneo entro un gruppo precostituito), ma l'originalità dell'ambientazione e la coerenza con cui gli eventi narrati aderiscono alle caratteristiche di queste comunità così sparute e isolate sono rimarchevoli.

Vedendo il film non ho potuto fare a meno di paragonare i comportamenti degli abitanti di Chersogno (di cui giustamente il regista ci mostra senza risparmio i volti antichi e per questo bellissimi) con quelli dei paesi dell'alto appennino reggiano che ho conosciuto bene (vedi anche la mia ricordanza a Joe Sentieri). Le somiglianze sono evidenti: un'economia ormai inconsistente, le attività agricole e l'allevamento quasi del tutto abbandonati, l'isolamento che crea una diffusa grettezza e diffidenza verso gli estranei e soprattutto un fotissimo controllo sociale, che può risultare in manifestazioni di grande solidarietà così come in una ostilità dichiarata e cattiva.

Un grande plauso quindi al regista, agli abitanti della Val Maira che hanno accettato di recitare da protagonisti in un film non certamente accomodante e alla produzione delle bolognesi Arancia Film e Imago Orbis. Vergogna invece alle case di distribuzione italiane, in particolare quelle d'essai che, pur dichiarandosi indipendenti, non hanno evidentemente più il coraggio di investire in film nei quali non ci sia almeno uno dei soliti nomi noti. Questo nonostante IL VENTO E IL SUO GIRO abbia fatto incetta di premi e riconoscimenti in molti festival italiani ed europei.

sito web: www.ilventofailsuogiro.com

L'incidente stradale


È sempre più frequente la possibilità di assistere a incidenti stradali, sia nelle strade delle nostre città che sugli schermi cinematografici guardando un film di recente uscita.

Per quanto riguarda la vita reale, le cause di questa escalation sono facilmente riconducibili a una serie di fattori concomitanti, quali l'aumento dell'uso dei mezzi di trasporto privati, l'aumentata velocità di questi mezzi e l'aumentata percezione di sicurezza alla guida di tali mezzi, nonché, almeno per quanto riguarda l'Italia, la sempre diffusa e mai abbastanza criticata e combattuta indisciplina da parte di tutti verso le regole della circolazione stradale.

La cosa più incredibile di tutto ciò è che si sta creando una sorta di assuefazione verso l'incidente stradale da parte di chi non vi è direttamente coinvolto: è diventato un fatto normale, è facile averci a che fare quotidianamente ed è sostanzialmente diventato una rottura di scatole perchè ci rallenta o ci blocca rispetto ai nostri importantissimi impegni. A volte però può assumere forme spettacolari, e allora diventa divertente, ci possiamo anche fermare un attimo a guardarlo, così come guardiamo con interesse le partenze dei Gran Premi di formula 1, nella speranza che i piloti combinino un bell'incidente di massa. Del resto, a parte la partenza le corse di automobilismo sono una palla enorme e non a caso i piloti più amati sono sempre stati quelli che avevano in dote la propensione a creare incidenti: basti pensare al mitico Gilles Villeneuve, che per i suoi frequenti voli con la rossa era chiamato l'Aviatore. Peccato che una volta alcuni spettatori ci lasciarono le penne in uno dei suoi voli; il suo acerrimo nemico Keke Rosberg era invece simpaticamente chiamato dalla stampa sportiva italiana il Killer, perché aveva fatto uscire Villeneuve di pista, forse anche più di una volta, ma del resto lo sappiamo che la sportività non è di casa nei circuiti automobilistici.

L'incidente stradale è diventato talmente naturale nella vita di tutti i giorni che ormai è un elemento imprescindibile nell'armamentario di ogni sceneggiatore cinematografico o televisivo. Vediamo così che quando la trama esige che un personaggio esca di scena ma non si vuole che venga ucciso per omicidio (nella fiction non siamo più sanguigni come ai tempi del western o del noir), allora bam! lo si fa finire sotto un'automobile (o sotto un camion o un pullman se non vogliamo lasciar dubbi sulla sorte del poveretto o della poveretta) e il gioco è fatto.

L'esempio più agghiacciante per la sua bruttezza e povertà di stile è sicuramente quello di un pessimo film italiano di qualche anno fa, IL VESTITO DELLA SPOSA, in cui il cattivo da operetta Andrea Di Stefano era talmente incazzato da non accorgersi dell'arrivo di un pullman che provvederà a maciullarlo in fini pezzetti, evitando così alla povera piccola Maya Sansa di sporcarsi le mani di sangue, lei che aveva il ruolo della vittima immacolata.

In ambito italiano IL VESTITO DELLA SPOSA può considerarsi un capostipite di questa estrema forma di pigrizia mentale (da non dimenticare anche l'incidente di RICORDATI DI ME), ma anche all'estero non scherzano, CRASH di Paul Haggis ci ha pure vinto un Oscar giocando sulle coincidenze e sugli incidenti uno sporchissimo gioco di ricatto emozionale.

Sono rimasto colpito dal trovare un incidente stradale usato in modo superficiale anche nel per il resto ottimo LE VITE DEGLI ALTRI. Si tratta di una vera caduta di stile all'interno di una sceneggiatura fino allora molto fluida e accattivante (anche se in realtà già prima c'era stata una caduta: come fa lo scrittore Georg a non accorgersi che qualcuno ha suonato apposta il campanello per fargli scoprire la sua CMS sull'auto del Ministro??). Fino a quel punto abbiamo infatti visto come tratto caratteristico - e reale - una Berlino del 1985 dalle strade vuote e pressoché prive di traffico (che sogno!), e proprio in quel momento invece passa un furgone, che sfiga! Poi: dobbiamo sempre credere che una persona, per quanto disperata e stravolta, non conservi quel minimo istinto di sopravvivenza che le impedisca di andare in mezzo alla strada senza guardare?

Mi ricordo, quand'ero piccolo, la notizia che Johnny Dorelli era stato investito da un'auto a Londra perché il povero non si era ancora abituato al diverso senso di marcia dei perfidi albionici e quindi aveva attraversato la strada guardando dalla parte sbagliata. Questo lo capisco, e solidarizzo con Johnny, ma quello che vedo ora nei film non lo sopporto più.

Propongo perciò una abolizione completa degli incidenti stradali da ogni sceneggiatura ancora da scrivere, e desidero ardentemente l'eliminazione totale di ogni automobile e ancor più di ogni scooter dai centri storici delle nostre città. O meglio: sogno un unico, enorme, definitivo incidente che ci tolga dalle palle tutti i mezzi che ci inquinano e ci tolgono il piacere di goderci le nostre città, una catasta gigantesca di ferraglia e plastica contorta e abbrustolita che emani puzzo per settimane allo scopo di non farci dimenticare il mondo di merda che, in quel sogno, ci saremmo lasciati alle spalle.