mercoledì 9 gennaio 2008

Tonino Benacquista - Malavita

(id.), 2004
Ponte alle Grazie, 2006

pag.92-94
Cholong-sur-Avre non aveva mai avuto una vera sala cinematografica. A ogni generazione, un volontario si occupava di un buon vecchio cineforum ospitato nel salone di gala del municipio. Nonostante i moniti di un pugno di eletti («È una lotta persa in partenza!»), una cinquantina di fedelissimi arrivavano sempre, quale che fosse il programma, nelle due sedute mensili: di che rendere redditizia l'operazione e dare torto ai cacadubbi. Alain Lemercier, pensionato della Pubblica istruzione ed eterno cinefilo, decideva la programmazione del film, faceva stampare le locandine e dirigeva il dibattito che seguiva la proiezione. Il suo amore per il cinema gli veniva da quei pazzoidi che avevano percorso le campagne in lungo e in largo per proiettare i film di Marcel Carné e di Sacha Guitry nei fienili e nelle sale dei municipi, da quei fanatici che andavano a cercare il loro pubblico nei campi, nelle cucine delle fattorie, e che poi lo accoglievano senza curarsi dell'incasso, perché non c'era nessuno che pagasse davvero; non era quello il fine. Gli illuminati della lanterna magica si accontentavano delle risate alla comparsa di Michel Simon in Boudu, e delle lacrime alla scena finale di Furore. In ricordo di tutti quei momenti, Alain Lemercier aveva ripreso la fiaccola a Cholong e programmava un cinema d'autore, classici dimenticati, pretesti per il dibattito che tratteneva in sala la maggior parte degli spettatori. Il più delle volte riusciva a scovare un invitato in grado di fornire un punto di vista particolare; ci si rammentava di una serata che aveva riempito una buona metà della sala in occasione della proiezione di Momenti di gloria, la storia di due giovani mezzofondisti che non smettevano di affrontarsi. Alain aveva invitato una celebrità locale, il signor Mounier, la cui carriera di podista aveva ripreso slancio sul tardi in occasione dei giochi olimpici della terza età. In un'altra serata memorabile, era riuscito a far venire da Parigi uno specialista in bambini genialoidi per un appassionante dibattito attorno ad un film che raccontava la storia di un bambino ritardato che diventa di colpo superintelligente. E, se si trovava a corto di relatori, Alain caldeggiava le domande e cercava di ottenere risposta da coloro che avevano un parere: era un animatore.
L'arrivo a Cholong di uno scrittore newyorchese era un pretesto ideale per rivisitare un classico americano. Senza pensarci su due volte, Alain prese il telefono per invitare Fred, cui rammentò le ore feconde della sua piccola attività cinematografica.
«Sarebbe un grande onore per noi se accettasse di essere il nostro prossimo invitato.»
Un dibattito in un cineforum? Fred? Lui per il quale un film non era concepibile senza una birra in mano, senza un tasto «Pausa» per andare a rovistare in frigo? Lui che si annoiava se non c'erano esplosioni e sparatorie? Lui che si addormentava durante le scene romantiche? Lui che non riusciva a leggere i sottotitoli e a vedere contemporaneamente le immagini? Un dibattito in un cineforum?

pag.96-98
Nella penombra del gigantesco salone delle feste, gli spettatori aspettavano il discorsetto introduttivo di Alain Lemercier. Quei cinquanta irriducibili, presenti sempre e comunque, costituivano stavolta un vero e proprio circolo. Per niente al mondo sarebbero mancati a quel rituale, a quel raccoglimento condiviso che non si trovava più altrove, a quell'emozione che soltanto il grande schermo suscitava. Apprezzavano altrettanto il ritorno al reale e i battibecchi che seguivano il film. Il semplice fatto di lasciare il loro comodo salotto e la televisione per andare a vedere un film in sala era, ai loro occhi, un atto di resistenza.
(...)
Lemercier, scomparso in cabina di proiezione, tardava a far partire il film; tra il pubblico serpeggiava l'impazienza.
«Da noi, avrebbero già ammazzato l'operatore» bisbigliò Fred.
Tom, nonostante una lunga abitudine all'attesa, gli dette ragione. Lemercier ricomparve, le braccia aperte in segno di scusa, e salì sul palco per fare un annuncio.
«Amici! La Cineteca ha commesso un errore. I rulli che mi hanno consegnato non corrispondono al nostro titolo. Non è la prima volta che capita...»
In ragione di due volte l'anno, stava diventando addirittura un classico. Nel novembre precedente, Il cacciatore di Michael Cimino era finito nelle pizze di Viaggio allucinante di Richard Fleischer, e qualche mese prima, anziché vedere il documentario americano Punishment Park, il club si era dovuto accontentare di La Pantera Rosa colpisce ancora. Ci voleva altro per destabilizzare Alain, il quale riusciva, con un rischioso gioco di destrezza, a giustificare il cambiamento di programma, a improvvisare una presentazione selvaggia, fino a trovare delle connessioni tra i due film. Quel tipo di riassestamento dopo un cataclisma era diventato la specialità dell'animatore.

pag.101
Dopo i titoli di coda, Lemercier tornò sul palco e prese il microfono per dare qualche informazione sul film e sul regista. Prima di passare la parola a coloro che volevano intervenire, si volse verso Fred e lo invitò a raggiungerlo. Ci furono applausi di incoraggiamento e, come al solito, Alain fece la prima domanda.
«Quando si vive a New York, si percepisce la presenza della mafia così come il cinema è solito presentarla?»

pag.107
Cinquanta sagome inerti. Cinquanta persone che pendevano dalle labbra dell'uomo sul palco. Un vento di stupore passava tra le file e nessuno osava muoversi o fare commenti. Dimenticati il dibattito, la programmazione. Una voce si esprimeva, bisognava ascoltarla.
Uno spettatore si alzò con discrezione e uscì per telefonare alla moglie che assisteva, a cento metri da lì, alla riunione mensile dei militanti della lista ecologica per le prossime elezioni comunali. In sostanza, le disse che stava succedendo «qualcosa» al cineforum, qualcosa da non perdere per niente al mondo. Lei guardò l'orologio e propose all'assemblea di andare a fare una puntata al salone delle feste.

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In terza fila, i coniugi Ferrier, habitué del cineforum, si guardavano increduli.
«Non ti pare che esageri un po'?»
«È uno scrittore, cara. Più il fatto è stravagante, e più farcelo credere lo diverte.»
Il pubblico, dopo un'ora che Fred parlava, era triplicato. La notizia si era propagata e i curiosi arrivavano dai ristoranti e dai bar dei dintorni. Più volte Fred ebbe voglia di prendere nota di un aneddoto che poteva trovare posto nelle sue Memorie, ma poi preferì continuare a tirare per le lunghe un esercizio che soggiogava il suo uditorio. Quanto a Tom, si vedeva già intento a contattare la base di Quantico per riferire ai suoi superiori, ma come annunciare loro che Fred, non contento di trasformare il suo passato di mafioso in letteratura, si era appena lanciato in un one-man-show che avrebbe potuto riempire il Caesar's Palace?

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